Femminicidi e braccialetti elettronici: quando la tecnologia non basta
La cronaca continua a riportare storie drammatiche che mettono in discussione l’efficacia delle misure di protezione contro la violenza di genere. L’ultimo caso di femminicidio a Civitavecchia, in cui una donna di 56 anni, Camelia Ion, è stata uccisa dall’ex compagno nonostante fosse monitorato da un braccialetto elettronico, solleva interrogativi profondi sulla reale capacità di queste soluzioni tecnologiche di prevenire tragedie simili.
Quando la prevenzione fallisce: il caso di Civitavecchia
La vittima, già perseguitata dall’ex compagno e protetta da un ordine restrittivo con l’ausilio di un braccialetto elettronico, è stata trovata priva di vita in un edificio nei pressi della stazione ferroviaria. Le indagini hanno accertato che la donna è stata soffocata, evidenziando una grave falla nel sistema che avrebbe dovuto impedirgli di avvicinarsi. Questo episodio segue di poche ore il femminicidio di Celeste Palmieri, avvenuto a Foggia, e si inserisce in un quadro sempre più allarmante.
Quando la tecnologia funziona: esempi di successo
Non mancano però esempi di efficacia: a Napoli e a Rho, i braccialetti elettronici hanno scongiurato ulteriori aggressioni. A Fuorigrotta, l’allarme del dispositivo ha permesso ai carabinieri di intervenire tempestivamente e arrestare un uomo che stava violando il divieto di avvicinamento alla sua ex moglie. Nel Milanese, invece, un altro dispositivo ha segnalato la rimozione forzata del braccialetto da parte di un uomo con precedenti per maltrattamenti, consentendo alle forze dell’ordine di bloccarlo prima che potesse fare del male.
Una misura sufficiente?
I braccialetti elettronici rappresentano senza dubbio un passo avanti nella protezione delle vittime di violenza, ma i recenti episodi dimostrano che non sono una soluzione definitiva. Le falle nel monitoraggio, la mancanza di manutenzione adeguata e l’assenza di risposte tempestive rischiano di renderli inefficaci in situazioni critiche.
Organizzazioni, esperti e forze politiche chiedono al governo un intervento deciso per migliorare il sistema, potenziando le tecnologie, garantendo un monitoraggio costante e formando il personale addetto alla gestione degli allarmi.
Oltre la tecnologia: un cambiamento culturale necessario
Affidarsi esclusivamente alla tecnologia non basta. È essenziale promuovere un cambiamento culturale che affronti alla radice il problema della violenza di genere, lavorando sull’educazione e sulla prevenzione. Le vittime devono essere sostenute attraverso reti di supporto psicologico, legale ed economico, perché solo un approccio integrato può davvero fare la differenza.
Ogni donna ha diritto a vivere senza paura. Ogni storia come quella di Civitavecchia o di Celeste Palmieri è un monito per la società: non possiamo permetterci di fallire nella protezione di chi è in pericolo.